I gatti nell’arte – Antichità

Misteriosi, sornioni ed eleganti, i gatti ci affascinano dalla notte dei tempi e sono stati ritratti nei modi più svariati nel corso dei millenni, incantando e ispirando artisti di ogni genere, tra cui celebri pittori come Leonardo da Vinci, Picasso e Matisse.

In questo articolo vi proponiamo una vera e propria “catwalk”, ovvero una passerella di opere d’arte con gatti protagonisti, partendo dall’antichità.

Epoca Egizia

Tra le più antiche testimonianze di opera d’arte con protagonista i gatti vanno menzionati gli Egizi, che come forse saprete, veneravano i mau, così come venivano chiamati nella lingua degli abitanti del Nilo, li consideravano sacri. Ed è proprio in questa epoca, infatti, che nacque il sottile legame esoterico tra il genere umano e il gatto.

Per tale motivo risalgono a questo periodo diverse sculture, dipinti e incisioni, e a volte anche le divinità erano rappresentate con corpo umano e testa felina.

Basti pensare alla dea Bastet, la dea gatta, rappresentata come donna dalla testa di gatto o come una gatta nera, la signora dell’amore, della fertilità e delle gioie terrene quali danza, musica e sensualità, o alla divinità Mafdet (talvolta indicata come Maftet), rappresentata con sembianze feline poiché proteggeva contro serpenti, scorpioni ed altri animali velenosi.

Vi mostriamo di seguito solo alcune delle tante opere risalenti a quest’epoca dedicate al culto del gatto.

Statuetta di Bastet in bronzo e argento, custodita al Walters Art Museum, a Baltimora.

Il gatto egizio detto Gatto Gayer-Anderson, donato al British Museum di Londra.

La testa di Mafdet dipinta sul letto in cui è deposta la mummia del faraone Sennedjem

Curiosità

Il rapporto tra gli egizi e i gatti nasce nel loro intento di addomesticare le specie che vivevano ai confini del delta del Nilo, per utilizzarli come scaccia topi.

Da qui, col passare del tempo, ogni casa, tempio ed edificio aveva almeno un gatto, tenuto con estrema cura. Si dice che alla morte di un gatto, il padrone usasse radersi le sopracciglia in segno di lutto per l’animale e di rispetto nei confronti della dea Bastet.

Ma questo non è tutto: sembrerebbe che il culto dei felini avesse raggiunto una tale diffusione da essere protetto dalla legge. Era per esempio vietato arrecare loro danni, o trasferirli al di fuori dei confini del regno, e la trasgressione a tali regole era punita anche con la pena di morte. Un uomo che uccidesse un gatto, per esempio, anche per caso fortuito, era giustiziato a morte.

In Egitto, inoltre, si usava consacrare i bambini a Bastet, facendo un piccolo taglio sul braccio e mescolando il sangue che gocciolava a quello di un felino.

Come conseguenza di ciò, nasce in quell’epoca il commercio di contrabbando di gatti, che venivano scambiati alla pari di altre merci preziose.

Epoca Greca e Romana

I Romani, come i Greci, erano soliti usare animali carnivori, come la donnola, la faina e la martora, per scacciare i topi, ma presto si accorsero che i gatti si addomesticavano più facilmente, e si affezionavano alla casa e ai proprietari.


Durante le campagne di conquiste i romani li conobbero, li apprezzarono e li portarono con sé, contribuendo alla diffusione della specie in tutta Europa. Sono infatti state rinvenute tracce della presenza del gatto in tutte le regioni conquistate dai romani. Quello che attualmente definiamo il gatto europeo, sembra infatti essere un discendente del gatto egiziano, giunto clandestinamente in Europa con le navi dei mercanti e dei soldati.

Per tale motivo nei reperti artistici di questo periodo il gatto era raffigurato in modo meno solenne e più naturale, tipicamente intento nelle sue movenze da predatore.

Si narra inoltre che i romani lo fecero discendere direttamente dall’Olimpo per servirsi delle abili doti di cacciatore, come appare raffigurato nel mosaico di Pompei nella casa del Fauno.

Mosaico dalla Casa del Fauno di Pompei, MANN Napoli

Mosaico di un gatto, MANN Napoli

Curiosità

Negli scavi di Pompei non è stato ritrovato alcun resto felino, pur essendo tra gli animali favoriti dalle ricche matrone, che ne possedevano spesso anche più di uno. Nell’arte figurativa pompeiana, del resto, il gatto è spesso raffigurato, a testimonianza dello stretto rapporto che intercorreva tra gli umani dell’epoca e il felino. Ciò fa supporre che i gatti che risiedevano a Pompei ed Ercolano, fiutato il pericolo con un buon anticipo, si siano messi prudentemente in salvo!

Tutte queste opere oggi sono custodite al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, ma anche il Parco Archeologico di Pompei è pieno di bellissimi tesori artistici “in movimento”: i custodi felini che popolano il sito archeologico!

Nel prossimo numero di questa rassegna continueremo a parlare dei gatti nell’arte nell’epoca medievale, che, come sapete, ha visto il gatto in una connotazione piuttosto negativa (oltre che ingiusta), ma allo stesso tempo vede artisti come Leonardo studiarli, ammirarli e riscattarli di tali pregiudizi.

Vi è piaciuta questa rassegna di opere d’arte sui gatti?

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